Indennizzi pagati dalle imprese, chiarimento Agenzia delle Entrate
Accade spesso che a seguito di condanna giudiziaria a carico di un impresa (anche assicurativa), si ponga il dubbio di come debbano essere tassati detti importi. L’agenzia delle Entrate ha fatto luce in questi giorni (Parere agenzia dell’Entrate) chiarendo che, in linea generale, qualora l’indennizzo percepito da un determinato soggetto vada a compensare in via integrativa o sostitutiva, la mancata percezione di redditi di lavoro ovvero il mancato guadagno, le somme corrisposte sono da considerarsi dirette a sostituire un reddito non conseguito (c.d. lucro cessante) e conseguentemente vanno ricomprese nel reddito complessivo del soggetto percipiente ed assoggettate a tassazione.
Nella diversa ipotesi in cui il risarcimento venga erogato con la finalità di indennizzare il soggetto delle perdite effettivamente subite ovvero di risarcire la perdita economica subita dal patrimonio (c.d. danno emergente), le somme corrisposte non saranno assoggettata a tassazione. In tale evenienza, infatti, viene meno il presupposto impositivo dal momento che l’indennizzo assume un carattere risarcitorio del danno alla persona del soggetto leso e manca una qualsiasi funzione sostitutiva o integrativa di eventuali trattamenti retributivi.
Al riguardo, l’amministrazione finanziaria in diversi documenti di prassi ha precisato che devono essere ricondotte a tassazione le indennità corrisposte a titolo risarcitorio, sempreché le stesse abbiano una funzione sostitutiva o integrativa del reddito del percipiente; sono in sostanza imponibili le somme corrisposte al fine di sostituire mancati guadagni (lucro cessante) sia presenti che futuri del soggetto che le percepisce. Diversamente non assumono rilevanza reddituale le indennità risarcitorie erogate al fine di reintegrare il patrimonio del soggetto, ovvero al fine di risarcire la perdita economica subita dal patrimonio (danno emergente) (cfr. risoluzione 22 aprile2009, n. 106 e 7 dicembre 2007, n. 356/E).
Al fine di pervenire alla corretta qualificazione giuridica delle somme corrisposte, nei sopracitati documenti di prassi è stato precisato che deve essere cura dell’interessato provare concretamente l’esistenza e l’ammontare di tale danno in quanto “in assenza di tale prova torna applicabile il principio più volte affermato dalla Corte di Cassazione, secondo cui alla somma versata dal datore di lavoro in base ad una definizione transattiva della controversia, che tenga ferma la cessazione del rapporto, deve essere presuntivamente attribuita, al di là delle qualificazioni formalmente adottate dalle parti, la natura di ristoro della perdita di retribuzioni chela prosecuzione del rapporto avrebbe implicato, e quindi il risarcimento di un danno qualificabile come lucro cessante” (cfr. Cass. n. 360 del 2009 ed inoltre n. 14167 del 2003 e n. 4099 del 2000).